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Contenzioso medico legale: G.I.S.E. ed A.I.C. Onlus intensificano gli sforzi per la salvaguardia della fiducia tra medico e paziente cardiopatico

6 maggio 2014 • senza categoria, curarsi 5033
Intervista al Presidente G.I.S.E.  Dr. Sergio Berti ed al Consigliere G.I.S.E.  Dr. Alfredo Marchese  

Il contenzioso giudiziario per responsabilità medica costituisce un problema crescente per i medici ed uno dei più insidiosi rischi per la salute dei pazienti.

Con l’obiettivo di aumentare l’informazione, la conoscenza del fenomeno, e poter  successivamente mettere in campo iniziative utili, AIC Onlus ha intervistato sul tema il Dr. Sergio Berti ed il Dr. Alfredo Marchese, rispettivamente Presidente e Consigliere del GISE, Associazione Italiana di Cardiologia Interventistica.

Il GISE non ha dubbi: la strada maestra per affrontare il fenomeno del contenzioso medico legale, che rappresenta un’attuale distorsione del tradizionale rapporto tra medico e paziente, passa per la ricostruzione del rapporto di fiducia tra le due categorie. Iniziative in questa direzione rappresentano l’unica via in grado di risolvere il problema.

Il rapporto di fiducia, soprattutto quello che coinvolge il bene salute, richiede una comunicazione comprensibile ed in questa partita AIC Onlus può svolgere un ruolo chiave, dato che Associazioni come la Nostra si pongono tale obiettivo, in linea con i ritmi della vita moderna.

Con l’obiettivo di ripercorrere la storia del senso di affidamento del paziente verso il medico, insieme al Dr. Marchese abbiamo cercato di individuare le cause che, con il tempo, ne hanno provocato il deterioramento. La stima verso professionisti e strutture sanitarie, fino ad un recente passato, costituiva l’ordinario modo di approcciarsi alla cura di ogni malattia. La crescita del contenzioso giudiziario, invece,  è la conferma di come, paradossalmente, nei tempi della società dell’informazione, il rapporto di fiducia abbia lentamente perso la caratteristica di elemento iniziale dell’intero percorso di cura. La crescita della velocità e della quantità di informazioni a disposizione, soprattutto degli internauti, confonde maggiormente, rispetto al passato, la platea degli utenti. Le persone sono chiamate a valutare un ampio volume di informazioni sanitarie, in prima persona e rapidamente, condizionate dall’inasprimento delle strategie di marketing.

Da un lato gli utenti ricercano, in autonomia, i criteri per valutare le informazioni ricevute, dall’altro ricevono notizie spesso non veritiere, o comunicate superficialmente e senza le necessarie competenze. Si avverte, quindi, il bisogno di preparazione e di orientamento per leggere un flusso veloce di notizie  all’interno del quale si confondono interessi, esigenze, opportunismi, insieme a reali esperienze e buone opportunità di cura.  E’ un dato di fatto che la riduzione dei tempi a disposizione per le attività diverse dal lavoro, e quindi anche del tempo da dedicare all’orientamento alla cura, accentua la tensione che normalmente accompagna le vicende legate alla salute. Ciò contribuisce a rendere più istintiva la determinazione sull’atteggiamento da prendere all’avvicinarsi dell’incontro con il medico. Le vicende di malasanità ed i cattivi esempi di alcuni medici, inoltre,  sono notizie che, il più delle volte, vengono ingigantite e ripetute da una stampa troppo spesso sensazionalistica, a totale discapito della reputazione dell’intera categoria medica. Simultaneamente, in questo decennio abbiamo assistito  ad un’accresciuta promozione della tutela del diritto alla salute, con toni spesso eccedenti  i margini della risposta difensiva, i quali, in un tale contesto, hanno assunto un ruolo propulsivo di timori e riserve nel rapporto col medico. L’attenzione del paziente viene attirata da valutazioni e considerazioni economiche sulla propria salute e tutto ciò ha gradualmente spostato l’attenzione dal bene primario: la salute stessa. Di conseguenza anche la ricerca del contatto, della conoscenza e del rapporto col medico, ovvero colui che per cultura, esperienza e vocazione si occuperà della nostra salute, acquisisce un ruolo marginale rispetto ad un approccio anticipatamente difensivo. Questo lento spostamento dell’attenzione ha favorito la litigiosità tra le parti, come conferma l’imponente contenzioso instauratosi.

Ma la litigiosità non sembra aver portato a dei risultati apprezzabili. L’atteggiamento della giurisprudenza degli ultimi decenni, maggiormente orientata verso la tutela del paziente, è arrivata a modificare l’originario bilanciamento della forza processuale delle parti, soprattutto in termini probatori, a vantaggio dei ricorrenti. Nei tribunali è aumentato il numero delle cause e del contenzioso in attesa di giudizio, insieme con il lievitare delle spese legali. Come sottolineato da alcune associazioni di categoria sui giornali delle scorse settimane, la tendenza a valutare il rapporto di cura primariamente in chiave economica e giudiziaria, oltre a non a ridurre i casi di malasanità, modifica tutti i rapporti sottesi all’erogazione di una prestazione medica, in particolare quello tra il medico, l’ospedale e l’assicurazione per responsabilità professionale medica. Le assicurazioni disposte a coprire le responsabilità mediche, infatti, si sono col tempo ridotte di numero ed hanno accresciuto i premi delle polizze, mentre sempre più strutture ospedaliere entrano in regime auto-assicurativo per far fronte all’aumentare dei costi. All’inasprimento del rapporto giudiziario ha fatto seguito il moltiplicarsi di atteggiamenti difensivi da parte dei medici, sempre più influenzati, nell’esercizio della professione, da valutazioni legali di tipo difensivo. Ciò ha dato luogo ai fenomeni della c.d. medicina difensiva attiva e passiva.

Stimolato da questi eventi è quindi intervenuto il legislatore, lavorando su norme proposte e condivise  con i diversi ordini professionali. L’art.3 della legge n.189/12, legge di conversione del c.d. Decreto Balduzzi, è una norma disposta proprio con l’intento di intervenire direttamente su quel filone giurisprudenziale che, per offrire una maggiore tutela al paziente, aveva di fatto modificato la responsabilità del dipendente medico da extracontrattuale a contrattuale. La norma, prima della conversione in legge, si poneva l’obiettivo di limitare la responsabilità civile per colpa lieve dei medici, inserendo il richiamo alle linee guida ed alle buone pratiche mediche per valutare la diligenza nell’adempimento della prestazione. Con la legge di conversione il legislatore ne ha poi ampliato la tutela, che ora si estende, con la medesima eziologia, anche al processo penale. Anche nel giudizio penale, quindi, linee guida e buone pratiche sono al centro della valutazione della prestazione del medico per il caso di colpa lieve: questa  valutazione può, cioè,  esonerare il medico dal rispondere per questo tipo di colpa.

Nonostante lo sforzo del legislatore, che è intervenuto su un fattore certamente propedeutico alla prassi della medicina difensiva, l’intervento rimane di tipo “meccanico” perché agisce sugli effetti della vicenda. Si avverte, quindi, la necessita di un’azione che intervenga anche sulle cause della medicina difensiva e, pertanto, sul citato rapporto di fiducia tra le parti. Il Dr. Sergio Berti e il Dr. Alfredo Marchese chiariscono subito che le linee guida non devono essere considerate come esaustive dell’opera del medico, rappresentando solamente dei livelli minimi di attenzione che l’operatore diligente è già tenuto a conoscere. E’ quindi chiaro che il rispetto delle linee guida rappresenta solo una garanzia di base per il paziente. Se le linee guida costituissero un manuale di “istruzioni per l’operazione”, infatti, basterebbe il lavoro di un mero esecutore per eseguire un’operazione chirurgica. D’altra parte è anche ipotizzabile che un professionista, intimorito di dover fornire in giudizio la prova onerosa della perizia esercitata nel proprio lavoro, limiti il proprio operato al rispetto delle linee guida, limitando quindi l’efficacia della terapia e ricadendo nel più tradizionale esempio di medicina difensiva passiva. Medicina difensiva che sembra essere molto diffusa tra la classe medica. Una recente indagine anonima della Cattolica a rilevato che,  nell’80% dei casi, i medici interrogati avevano adottato almeno uno dei comportamenti di medicina difensiva nell’ultimo mese di lavoro tra le seguenti: annotazioni evitabili; proposte di ricovero in luogo di prestazioni ambulatoriali; prescrizione di un numero maggiore di esami diagnostici;  consultazione non necessaria di altri specialisti. Il problema, come visto, riguarda i medici ma diventa dei pazienti perché se i primi saranno preoccupati da considerazioni legali lo svolgimento della prestazione certamente ne risentirà. Il richiamo alle linee guida rimane, da questo punto di vista, una garanzia a cui devono certamente affiancarsene delle altre che sostengano il rapporto col paziente.

Allo stesso modo non appare credibile immaginare una risoluzione del problema che passi esclusivamente attraverso la lotta mediatica, con pubblicità e comunicati stampa tesi a contrastare il giornalismo degli scandali sanitari, dei processi ai medici e della pubblicità dell’industria del risarcimento. La via della lotta mediatica offre, ancora una volta, un rimedio solamente temporale ad un problema che affonda le proprie radici nel logorato rapporto di fiducia tra il medico ed il proprio assistito. E’ illuminante a proposito il pensiero del Presidente del GISE, Dr. Sergio Berti, secondo il quale “Rispondere con la stampa agli articoli dei giornali che screditano i medici rimane un modo per difendersi sul presupposto di aver agito per danneggiare il paziente, mentre il medico agisce sul presupposto inverso, ossia quello di curare”.

L’aumentare dei contenziosi favorisce l’incremento della sfiducia e l’allontanamento tra medico e paziente, secondo un circolo che si auto accresce. Come visto, anche l’atteggiamento difensivo del medico contribuisce a questo allontanamento perché tende a privilegiare l’aspetto tecnico tralasciando la sensibilità e l’umanità che rendono efficace l’esercizio della pratica medica. “Si rischia che, per paura della reazione del paziente, il medico si astenga dal concretizzare gli aspetti più preziosi della propria professionalità, quelli legati all’intuito maturato in base all’esperienza” spiega il Dr.Berti che poi richiama l’attenzione sulla dimensione del fenomeno: “Si sottovaluta molto l’impatto psicologico che la vicenda sta avendo sugli operatori. Oggi la maggior parte dei medici pensa di non poter svolgere come crede il proprio lavoro mentre il medico non dovrebbe avere pesi che gravano sulla propria capacità professionale. Il che non significa che il medico debba sentirsi esente da colpe e sanzioni per il caso in cui eserciti male la propria pratica, ma un medico che opera pensando che gli verrà mossa contro una causa giudiziaria si confronta con pensieri di ordine legale che niente hanno a che vedere con la pratica medica e potrà faticare di più nel concentrarsi totalmente sul proprio operato.”

Sintetizzando quanto visto fin’ora, il medico che pensa di curare un paziente che gli farà causa potrà essere portato, quindi, ad appiattire la propria attività su delle linee tecniche basilari che rendano la propria posizione inattaccabile in sede legale. L’irrigidimento della classe medica come reazione alle accuse di malasanità può quindi condurre a conseguenze negative per la salute del paziente sotto forma di pratiche astensive, indagini diagnostiche inappropriate e spese legali. Si tratta di comportamenti suggeriti da un istinto di autotutela per entrambe le categorie ma che non portano a risultati utili perché il legame fra le stesse fa ricadere il danno della prima sulla seconda.

La parzialità dei rimedi posti in essere accerta l’esigenza di dover rinsaldare il rapporto di fiducia tra le parti. Per potere agire in modo efficace è imprescindibile una corretta informazione sulle patologie, gli interventi e gli esiti attendibili, alla luce dei quali valutare con equilibrio le conseguenze di una pratica chirurgica. AIC Onlus può contribuire mettendo in luce cause e reazioni di questa accresciuta conflittualità e diffondendo le informazioni sulla professionalità e sicurezza dei laboratori di emodinamica. Per favorire la crescita della fiducia intorno ad un medico ed un ospedale, in questo determinato momento storico, è infatti necessario che i pazienti siano partecipi e coscienti del lavoro preparatorio che viene eseguito per rendere sicuro un ricovero. Il GISE sta rispondendo in modo efficace a questa sfida mettendo in campo azioni che favoriscono il rapporto di fiducia.  La Società Italiana di Cardiologia Interventistica sta infatti procedendo con la creazione e pubblicazione di documenti riguardanti le procedure mediche e la sicurezza dei laboratori di emodinamica. In particolare, in primavera, verrà pubblicato un documento sui requisiti minimi, dove verrà considerato il numero minimo di  procedure annue, secondo una prassi adottata dalle più accreditate joint commission internazionali. L’esperienza ed i requisiti minimi costituiscono una garanzia che va nella direzione della sicurezza del paziente perché assicurano la  professionalità della struttura e degli operatori. Ma questo è solo un caso in cui la comunicazione può intervenire. La presenza di un rischio operatorio, ad esempio, o dell’eventualità che lo stato di salute non migliori a seguito dell’operazione, deve essere comunicato chiaramente al paziente. Ciò evita che aspettative inesatte, poi disilluse, vengano fatte ricadere sulla responsabilità del medico, anche nel  caso di un’operazione perfettamente eseguita.

Per far conoscere i requisiti di sicurezza riguardanti le strutture e gli operatori, e per una corretta valutazione di procedure, patologie ed aspettative di guarigione, AIC Onlus ha proposto al GISE di collaborare per condividere una procedura di accompagnamento del paziente cardiopatico al percorso sanitario. Il protocollo si impegna a favorire la comprensione e l’inserimento del paziente nel percorso operatorio, sostiene il contatto con il medico garantendo, inoltre, la comprensione del consenso informato e la trasmissione della conoscenza sugli standard di qualità adottati. Alla realizzazione del progetto di accompagnamento seguirà un collegato progetto di promozione della sicurezza affinché venga garantita l’adozione del protocollo ed il possesso degli standard minimi.

 

Autore: A.I.C. Onlus

 

 

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